3. La Legge Mammì
Nel 1990 venne promulgata la legge 223 (detta di Mammì che ne fu, si dice, l’estensore) che impose regole assai discutibili per poter continuare a trasmettere: potenzialità economica, presenza sul mercato, dignità di impresa. Concetti, questi, in netto contrasto con la nostra Carta costituzionale che passarono sotto il più assordante silenzio! In poche parole la legge Mammì sanciva con l’approvazione del Parlamento tutte quelle illegalità contenute nel famoso decreto “Berlusconi” (Craxi, allora capo del Governo, emanò un provvedimento per riaccendere le reti abusive del Cavaliere, giustamente oscurate dalla Magistratura nel tentativo di riportare alla legalità l’etere televisivo). Quindi una legge, la 223/90, fatta su misura su chi possedeva 3 reti televisive nazionali e che dava l’avvio, per le grosse holding finanziarie, alla colonializzazione delle frequenze, per quella che sarebbe stata una fra le maggiori speculazioni mai tentate fino a quel momento a danno della libertà di informazione. In campo radiofonico esisteva già da tempo una rete nazionale (Radio Radicale), ma dal 1990 le grandi radio private, inizialmente del nord, iniziarono ad incettare le frequenze in tutte le regioni italiane per poter costruire nuove reti nazionali commerciali. Iniziavano a nascere i “pescecani” dell’etere.